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Val d'Asta - Appennino Reggiano

Sulle tracce del treno

Sulle tracce del treno

Era l’anno 1915, l’Italia era entrata in guerra, la prima guerra mondiale, mentre il progresso avanzava. Si progettavano grandi opere che avrebbero dovuto apportare benessere alla popolazione e creare posti di lavoro. E così fu anche in Appennino Reggiano, quando iniziarono i lavori per la costruzione dei bacini idroelettrici di Fontanaluccia e Ligonchio e quando si decise di sfruttare i boschi del Cusna e dell’Abetina Reale. Insieme alle dighe si costruirono le ferrovie a scartamento ridotto, le Decauville, che dovevano servire a trasportare i materiali di costruzione dalla centrale elettrica alla diga. Esse erano la Ferrovia del Tracciolino, che collegava la diga di Fontanaluccia alla centrale di Farneta, e la Decauville di Ligonchio, che da Ligonchio di Sopra giungeva alla diga di Presa Alta. Diverso fu invece l’impiego della Ferrovia Quara-Febbio, che fu progettata e costruita per trasportare il legname dai boschi di Febbio fino ad un punto preciso fra Gova e Quara, dove i tronchi venivano fatti scivolare verso il torrente Dolo.

Trasporto della pietra (Fonte http://ruedeslumieres.morkitu.org)
Trasporto della pietra (Fonte ruedeslumieres.morkitu.org)

Piccole locomotive trainavano carrelli pieni di sabbia, ghiaia, tronchi. Instancabili facevano il loro lavoro di trasporto mentre la guerra volgeva al termine.

Sono trascorsi cento anni dall’inizio della costruzione della prima decauville appenninica reggiana, la Quara-Febbio, e quasi altrettanti dall’inizio dei lavori dell’imponente diga di Fontanaluccia e di quella di Ligonchio, e “Titina” e “Valencia” e le altre locomotive non percorrono più i loro binari su e giù per i nostri monti. Tutto fu smantellato quando le decauville non servirono più allo scopo e parte del loro tracciato fu trasformato in strade comunali di comunicazione.
A noi rimane il ricordo di queste ferrovie tramandato dalle foto d’epoca degli archivi storici delle centrali Enel di Ligonchio e Farneta, dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e da alcuni archivi privati, e raccontato di generazione in generazione dal popolo della montagna, perché purtroppo non esistono più testimonianze dirette di quegli anni.

Siamo riusciti a reperire notizie e foto storiche con il desiderio di rendere tutti partecipi affinché la Storia del nostro Appennino non cada nel dimenticatoio e i nostri giovani si appassionino al meraviglioso territorio che abbiamo.

 

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la squadra di Valdasta.IT

 

La ferrovia Quara-Febbio

Nel XIX secolo si affermò lo sfruttamento massiccio delle risorse forestali dell’alto appennino reggiano, che divenne una realtà soltanto con l’unità d’Italia, quando ditte specializzate procedettero ad ampi disboscamenti che si ingrandirono ulteriormente durante il primo conflitto mondiale. La crisi dei combustibili era ormai al culmine, particolarmente dopo la ritirata di Caporetto (24 ottobre – 9 novembre 1917), quando andarono perdute le foreste venete. L’Organizzazione Militare per il rifornimento dei legnami (Comitato Legnami) si riversò pertanto dalle Alpi all’Appennino per reperire il legname necessario al fabbisogno dell’industria bellica.
Nel 1917 fu progettata per conto del Comitato Legnami di Modena e Reggio Emilia la strada ferrata che partendo da Quara di Toano giungeva al centro dell’alta Val d’Asta attraverso il versante sinistro della valle del Dolo, un percorso della lunghezza di 16 km con una pendenza uniforme inferiore al 3%, che attraversava gli abitati di Gova, Novellano, Piandelmonte, e dal Fosso Balocchi raggiungeva la località di Masareto a monte della borgata di Riparotonda, poco a valle del Rescadore di Febbio, dove erano ubicate le sorgenti del torrente Secchiello e la stazione della ferrovia.

Archivio Biblioteca Panizzi
Archivio Biblioteca Panizzi
Topografia dell'utilizzazione boschiva del Cusna con il tracciato originario della ferrovia – Archivio Fioroni
Topografia dell’utilizzazione boschiva del Cusna con il tracciato originario della ferrovia – Archivio Fioroni

Lì giungeva anche una slitta lunga 700 metri che trasportava legna, tronchi e carbone da Pianvallese, che era uno dei principali punti di raccolta del materiale.
Fu predisposta anche una teleferica lunga 1800 metri che serviva per trasportare il materiale alla stazione di partenza della decauville.

1919 – Stazione di arrivo a Masareto – Archivio Fioroni
1919 – Stazione di arrivo a Masareto – Archivio Fioroni
1919 – La lavorazione del legno nei pressi di Febbio
1919 – La lavorazione del legno nei pressi di Febbio
Piandelmonte, 15 agosto 1919 – Gita organizzata per ferragosto dall'Ente Autonomo Consumi e dal Consorzio Granario. Intervennero un centinaio di persone, tra cui molte autorità – Archivio Fioroni
Piandelmonte, 15 agosto 1919 – Gita organizzata per ferragosto dall’Ente Autonomo Consumi e dal Consorzio Granario. Intervennero un centinaio di persone, tra cui molte autorità – Archivio Fioroni

Per la realizzazione dell’opera fu istituito in Val d’Asta un campo di lavoro per prigionieri dell’esercito austro-ungarico, unico esempio in provincia di Reggio Emilia, con capanne costruite in legno di faggio in stile alpino. Tra queste si ricordano la baracca dedicata al “Capitano Albino Candoni”, la “Stavoli Roner”, il casone “Alto But”, sede del quartier generale dell’azienda costruttrice “Brunetti-De Antoni e C.” che ottenne la concessione dello sfruttamento dei boschi e della ferrovia fino al 1920.

Prigionieri ungheresi davanti alla capanna dedicata al Capitano Albino Candoni – Archivio Fioroni
Prigionieri ungheresi davanti alla capanna dedicata al Capitano Albino Candoni – Archivio Fioroni
Capanna dedicata al Capitano Albino Candoni
Capanna dedicata al Capitano Albino Candoni – Archivio Biblioteca Panizzi
Capanna Stavoli-Roner
Capanna Stavoli-Roner – Archivio Biblioteca Panizzi

Per completare il tracciato furono costruiti anche dei ponti in legname. A monte dell’abitato di Gova in località Le Grotte una funicolare di circa 150 metri su piano inclinato permetteva di far scivolare i tronchi verso il torrente Dolo per la fluitazione verso il fiume Secchia, per poi venire raccolti dopo una quarantina di chilometri nell’antico bacino di fluitazione a San Michele dei Mucchietti nei pressi di Sassuolo.

1919 - Ponte a Casa dell'Onesta – Archivio Fioroni
1919 – Ponte a Casa dell’Onesta – Archivio Fioroni
Le Grotte di Gova – Binari al piano inclinato – Archivio Biblioteca Panizzi
Le Grotte di Gova – Binari al piano inclinato – Archivio Biblioteca Panizzi
Le Grotte di Gova – Binari al piano inclinato – Archivio Biblioteca Panizzi
Le Grotte di Gova – Binari al piano inclinato – Archivio Biblioteca Panizzi
Scivolo per i tronchi a Le Grotte di Gova – Archivio Biblioteca Panizzi
Scivolo per i tronchi a Le Grotte di Gova – Archivio Biblioteca Panizzi
Bacino di defluitazione sul Secchia a San Michele dei Mucchietti – Archivio Biblioteca Panizzi
Bacino di defluitazione sul Secchia a San Michele dei Mucchietti – Archivio Biblioteca Panizzi
Legna accatastata nel bacino di San Michele dei Mucchietti – Archivio Fioroni
Legna accatastata nel bacino di San Michele dei Mucchietti – Archivio Fioroni

Nei pressi di Novellano fu realizzato lo scambio dei binari. Lungo il percorso era presente anche un’officina ad uso rimessa e magazzino ricambi per la riparazione della decauville e delle due locomotive di servizio. Si presume che fosse in località Trambasta.
Il legname da lavoro e il carbone vegetale (il “cannellino” ricavato dalle ramaglie di faggio e di cerro), proseguivano dalla stazione di Gova a Quara, dove venivano caricati sugli autocarri e dirottati allo scalo di Castellarano-Veggia.
I lavori di costruzione durarono dalla fine del 1917 al dicembre del 1918.

1919 – Lo scambio di Novellano – Archivio Fioroni
1919 – Lo scambio di Novellano – Archivio Fioroni

Si ha notizia del deragliamento di uno dei convogli nella zona del Costetto, che provocò diversi feriti tra cui alcuni anche gravi. Si approntò quindi un piccolo ospedale nell’osteria Rossi di Case Balocchi, dove le ragazze del luogo curarono i feriti del treno, ma successivamente anche i dipendenti dell’impresa, i prigionieri e perfino la gente del luogo, che vi si rivolgeva in caso di necessità. Case Balocchi era infatti il punto strategico più importante della ferrovia, in quanto anche i servizi logistici e il vettovagliamento si svolgevano lì.
Purtroppo però alla fine della convenzione con la ditta Brunetti nessuno rilevò la ferrovia.

Non si hanno notizie certe circa la data di smantellamento della ferrovia, che potrebbe essere presumibilmente l’inizio del 1920. Alcune voci tramandate nel corso degli anni riportano che fu utilizzata per l’ultima volta in occasione del terremoto del settembre 1920 per portare i soccorsi nelle zone devastate dal sisma, Asta, Febbio e Civago, che non erano collegate da strade. A quei tempi infatti la carrozzabile che partiva da Cerredolo terminava a Quara. Da ricerche effettuate nell’archivio storico dei quotidiani locali presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, abbiamo verificato che in nessun articolo viene menzionato l’utilizzo della ferrovia per quel evento tragico, mentre invece si fa riferimento ad una “mulattiera a mezza costa nel versante che precipita al Dolo che sale da Quara, Gova, Novellano” che giunge in Val d’Asta in “lunghe ore di aspro cammino“, che potrebbe essere il tracciato dove originariamente passavano i binari.
Alcuni binari della ferrovia furono usati come travi nelle abitazioni. Un lungo tratto del percorso della decauville fu successivamente utilizzato come tracciato stradale, ed è quello che dalla località La Sorba di Gova giunge a Pian del Monte passando per Novellano (l’attuale Strada Provinciale 95).

2018 – Un vagone centenario della vecchia ferrovia – Foto Rosa Palumbo
2018 – Un vagone centenario della vecchia ferrovia – Foto Rosa Palumbo

Personaggi della ferrovia

  • Direttore dei Lavori, signor Brunetti: si racconta che aveva portato con sé dalla Carnia un mulo per gli spostamenti nel bosco, una capra e un becco.
  • Chesi Giovanni, di Morsiano, detto “Gianun”, era uno dei macchinisti-frenatori dei trenini.
  • Gebennini Giovanni di Febbio, detto “Gigin”, era il fornaio e magazziniere alla stazione di Masareto.
  • Manfredi Cirillo di Novellano, detto “Cirillun”, era il guardiano della ferrovia.
  • Zambonini Vincenzo di Case Balocchi, era il fabbro che riparava tutta l’attrezzatura in ferro che veniva usata sulla linea.

Visita la gallery fotografica della ferrovia Quara-Febbio

La ferrovia del Tracciolino

Non si può parlare del Tracciolino senza parlare della Diga di Fontanaluccia e della Centrale Idroelettrica di Farneta. La diga di Fontanaluccia è infatti una delle opere architettoniche più importanti dell’Alto Appennino, costruita nella valle del Dolo ai piedi del Monte Cornaleto a cavallo dei territori delle località di Gazzano in provincia di Reggio Emilia e Fontanaluccia in provincia di Modena.

La diga di Fontanaluccia – Foto Rosa Palumbo - 2018
La diga di Fontanaluccia – Foto Rosa Palumbo – 2018

La costruzione della diga venne avviata negli anni venti nell’ambito dei piani di produzione di elettricità che servivano per le idrovore delle bonifiche padane e fu ultimata a ottobre 1928. Fu realizzata interamente in pietra. Le grandi arcate sbarrano il torrente Dolo raccogliendo nel bacino anche le acque convogliate dal torrente Cervarolo e dal Dragone. Una lunga canalizzazione sotterranea dirige le acque al bacino di carico della centrale di Farneta, 16 km a valle lungo il Dolo. La strada di servizio utilizzata per la costruzione della diga era dotata di depositi per gli esplosivi e di ferrovia a scartamento ridotto e fu battezzata “Tracciolino”.
Collegava la diga con la centrale di Farneta e serviva per il trasporto dei materiali necessari ai lavori.
A diga ultimata il Tracciolino fu smantellato e la strada di servizio è diventata strada comunale. Sul percorso però esistono ancora i ponti e alcuni manufatti dell’epoca. Inoltre, nei pressi della diga sono visibili resti dei binari che portavano i vagoncini alla condotta forzata.

La diga in costruzione – Archivio Centrale Enel di Farneta
La diga in costruzione – Archivio Centrale Enel di Farneta
I binari per il trasporto dei materiali – Archivio Centrale Enel di Farneta
I binari per il trasporto dei materiali – Archivio Centrale Enel di Farneta
Il Tracciolino con la piccola locomotiva – Archivio Centrale Enel di Farneta
Il Tracciolino con la piccola locomotiva – Archivio Centrale Enel di Farneta
Il trenino con i vagoncini carichi di materiale passa su un ponte di legno – Archivio Centrale Enel di Farneta
Il trenino con i vagoncini carichi di materiale passa su un ponte di legno – Archivio Centrale Enel di Farneta
Il passaggio della locomotiva – Archivio Centrale Enel di Farneta
Il passaggio della locomotiva – Archivio Centrale Enel di Farneta
Resti di binario decauville - Foto Rosa Palumbo - 2018
Resti di binario decauville – Foto Rosa Palumbo – 2018
Resti di binario decauville - Foto Rosa Palumbo - 2018
Resti di binario decauville – Foto Rosa Palumbo – 2018
Resti di binario decauville - Foto Rosa Palumbo - 2018
Resti di binario decauville – Foto Rosa Palumbo – 2018
Resti di binario decauville - Foto Rosa Palumbo - 2018
Resti di binario decauville – Foto Rosa Palumbo – 2018

Escursione al Tracciolino

Dalla chiesa di Gazzano [GPS:44.275394, 10.504577] seguire la strada forestale in discesa che in circa 15 minuti porta alla diga. Oltrepassata la diga, seguire il tratto asfaltato in salita fino al bivio che a destra porta a Fontanaluccia e a sinistra a Romanoro [GPS:44.277130,10.516389] – sentiero CAI 598.
Si procede a sinistra sulla strada non asfaltata che costituiva il Tracciolino e passa fra pareti di arenaria scolpite dalle acque e alberi. Si continua per circa 5 km fino a raggiungere la località Panigale ignorando tutte le deviazioni. Poco dopo Panigale la strada diventa asfaltata e sbuca sulla strada per Romanoro alla periferia del paese nei pressi di una piccola maestà [GPS:44.305207, 10.521775].
Il percorso non presenta nessuna difficoltà, essendo abbastanza pianeggiante. E’ adatto a tutti ed è ideale anche per le mountain bike. Lunghezza totale 5,4 km, altitudine minima 714 m. a livello della diga, altitudine massima 802 m. Percorso tracciato con gps.

L’escursione si può effettuare anche al contrario, imboccando dopo Romanoro la strada comunale per Panigale sulla destra [GPS:44.305207, 10.521775].

L’escursione al tracciolino attraverso la fotostoria di Rosa Palumbo

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La Decauville di Ligonchio

Il primo decennio degli anni venti fu un periodo importante per l’appennino reggiano, in particolare per il territorio di Ligonchio. Nel 1919 infatti iniziarono i lavori di costruzione delle centrali idroelettriche di Ligonchio e Predare, con i relativi bacini di carico e la diga di Presa Alta.
Ma la progettazione di questi impianti non fu semplice, in quanto si doveva tener conto della natura del terreno e del fatto che a quei tempi mancavano le strade di collegamento interne. La carrozzabile arrivava a Busana e la strada Busana-Cinquecerri non era ancora completata.

Centrale idroelettrica di Ligonchio – Foto Rosa Palumbo, 2018
Centrale idroelettrica di Ligonchio – Foto Rosa Palumbo, 2018

Gli studi sulle possibilità di sfruttamento del fiume Secchia e dei torrenti Ozola, Dolo, Dragone, Tresinaro e Rossenna, iniziarono nei primi anni del novecento. Le varie società elettriche presentarono diversi progetti, molti dei quali si rivelarono incompatibili con la geologia e morfologia del territorio, oltre che troppo onerosi per la loro realizzazione. Si optò quindi per la Val d’Ozola, territorio montano ad elevata piovosità. La Società Idroelettrica dell’Ozola (S.I.O.), che si era occupata di analizzare e studiare la valle del torrente Ozola, dovette considerare anche la realizzazione di strade carrozzabili per il trasporto di macchinari come turbine, trasformatori e generatori, alloggi per il personale e uffici per la direzione dei lavori.
Si procedette quindi alla costruzione di una strada della lunghezza di 14 km, mentre contemporaneamente una teleferica a movimento continuo di circa 7 km trasportava i materiali da costruzione. La strada fu successivamente prolungata di 4 km e Ligonchio e Busana furono finalmente collegate.
Nel frattempo, i materiali venivano distribuiti tramite una rete di teleferiche. La prima, della lunghezza di 2,1 km, partiva dal cantiere di Busana per giungere a Cinquecerri, da dove partiva un’altra teleferica di 4 km che giungeva alla stazione di smistamento in località Borella, da dove per mezzo di altre due teleferiche il materiale veniva distribuito alla centrale di Predare o a quella di Ligonchio.

Cartolina d'epoca - Interno della centrale di Predare – Archivio Armando Lazzari. Negli anni venti la centrale di Predare era tra gli impianti più importanti del Sistema Elettrico Italiano.
Cartolina d’epoca – Interno della centrale di Predare – Archivio Armando Lazzari.
Negli anni venti la centrale di Predare era tra gli impianti più importanti del Sistema Elettrico Italiano.
Centrale idroelettrica di Ligonchio – Foto Rosa Palumbo, 2014
Centrale idroelettrica di Ligonchio – Foto Rosa Palumbo, 2014

I lavori del complesso idroelettrico durarono circa 10 anni, anche se la centrale di Ligonchio entrò in funzione nel 1921; nel 1922 furono ultimati i lavori del bacino, che entrò in esercizio l’anno successivo. Le due centrali di Predare e Ligonchio divennero un importante nodo di interconnessione fra il sistema elettrico del nord Italia e quello del centro Italia, grazie ad un accordo stipulato con la Società Generale Elettrica dell’Adamello, la quale si impegnò ad acquistare tutta l’energia prodotta dagli impianti della Val d’Ozola. Fu realizzato anche un importante collegamento con le Società Toscane (Società Elettrica Ligure Toscana e Valdarno), che facevano parte dell’area idroelettrica della Valle del Serchio.
La diga di Presa Alta in località Scalone fu collaudata il 23 novembre 1929 e fu sovralzata nel 1940.
Le opere di presa e condotte furono costruite con l’aiuto di un particolare piano inclinato, di una ferrovia a cremagliera che da Ligonchio giungeva alla vasca di carico in località Tarlanda da cui parte la condotta forzata che porta l’acqua alle centrali, e dalla decauville in piano scavata sui fianchi degli Schiocchi fino alla Presa Alta. Le ferrovie furono utilizzate fino agli anni sessanta, quando la decauville fu smantellata, mentre la cremagliera è ancora esistente e visibile affianco alla condotta forzata.

Il binario alla Presa Alta passa nella galleria scavata a mano. Non esiste più. Archivio Renzo Bacci.
Il binario alla Presa Alta passa nella galleria scavata a mano. Non esiste più. Archivio Renzo Bacci.
Carrello sul piano inclinato che dalla centrale di Predare portava alla Rocca. Archivio Lino Vergai.
Carrello sul piano inclinato che dalla centrale di Predare portava alla Rocca. Archivio Lino Vergai.
Anni '20 – Costruzione del binario – Archivio Mario Corradi.
Anni ’20 – Costruzione del binario – Archivio Mario Corradi.
Anni '20 – Costruzione del binario – Archivio Mario Corradi.
Anni ’20 – Costruzione del binario – Archivio Mario Corradi.
Carrello che dalla centrale di Ligonchio sale a Tarlanda – Anni '50. Immagine tratta dal libro “Scarponi sull'Appennino” di Demos Galaverni.
Carrello che dalla centrale di Ligonchio sale a Tarlanda – Anni ’50. Immagine tratta dal libro “Scarponi sull’Appennino” di Demos Galaverni.
Cartolina spedita nel 1957 – Archivio Rosa Palumbo
Cartolina spedita nel 1957 – Archivio Rosa Palumbo

Curiosità

A Ligonchio c’era un castello, ormai scomparso, che si ritiene fosse in cima al Monte della Croce che domina il borgo.

A Tarlanda, negli anni 1944-45 vi fu un’importante postazione dei partigiani a difesa della centrale di Ligonchio, che fu salvata dalla distruzione per mano tedesca.

Ligonchio è il paese natale della cantante, attrice e conduttrice televisiva Iva Zanicchi (18.01.1940).
Soprannominata “L’aquila di Ligonchio”, eurodeputata dal 2009 al 2014, è autrice dei libri, “Polenta di castagne” (2001, Premio Alghero Donna per la letteratura e il giornalismo), dove racconta in chiave ironica la storia della sua famiglia, “I prati di Sara” (2005), un romanzo che narra la storia di due amiche, “Nata di luna buona” (2019), la sua autobiografia completa dall’infanzia fino ad oggi.

Poco sopra Ligonchio è stato eretto un piccolo faro, un monumento alla memoria degli Alpini che non sono più tornati dalla Guerra. Si raggiunge da Ligonchio di Sopra per un comodo sentiero segnalato da cartello che sale nei pressi della trattoria Il Faro [GPS:44.316260, 10.339967]. Panorama a 360 gradi sull’appennino.

Escursione sulle tracce del treno

Dirigersi verso il borgo rurale di Ligonchio di Sopra verso il passo di Pradarena. Pochi metri dopo l’oratorio di San Rocco (costruito nel 1575, restaurato nel 1634 dopo la grande peste – parcheggio nei pressi) si stacca a sinistra una strada asfaltata che sale verso la diga di Presa Alta (Via Ravinella [GPS:44.314047, 10.338881]). Proseguire per circa 300 metri fino a trovare una carraia sulla sinistra contrassegnata con il numero del sentiero CAI 633 [GPS:44.312286, 10.339124] (parcheggio nelle vicinanze).
Ci si inoltra nella boscaglia fino ad uscire nuovamente sulla strada asfaltata che si segue a sinistra fino a passare sotto il grande tubo della condotta forzata che scende verso la centrale idroelettrica affiancata dai binari della ferrovia a cremagliera [GPS:44.310485, 10.344865]. Panorama su Ligonchio. Verso il monte invece la condotta giunge alla vasca di carico di Tarlanda; i binari la affiancano ed è possibile seguirli fino dietro Tarlanda.
Si prosegue per strada asfaltata fino dopo Tarlanda, dove a sinistra si stacca il percorso originale della decauville (sentiero CAI 633). Il sentiero 641 a destra invece termina dopo pochi minuti presso alcuni ripetitori dove in passato era la stazione di arrivo della ferrovia con una piattaforma girevole e avveniva lo scambio del carico fra la decauville e la ferrovia a cremagliera che scendeva alla centrale di Ligonchio. Si ignora quindi il sentiero 641 e si segue il 633 che procede in piano nella faggeta prima e fra le spettacolari pareti di arenaria del Cervarola poi, per inoltrarsi ancora nella faggeta fino al ponticello in legno sul Fosso del Rimale che ha sostituito il vecchio ponte ferroviario crollato da decenni. Si risale fino ad un’area di sosta nei pressi della strada forestale che in circa 15 minuti porta alla diga di Presa Alta. In alternativa si può giungere alla diga riprendendo il sentiero 633 che si stacca dopo pochi metri sulla sinistra. Si oltrepassano i resti del muro perimetrale della vecchia Baracca del Corno che era sorta lungo la mulattiera per la Toscana. Si ignora il primo bivio con il sentiero 639 e si prosegue per circa 300 metri fino al secondo bivio con il sentiero 639 imboccando ancora il n. 633 a sinistra in discesa fino alla diga [GPS:44.284229, 10.367240](parcheggio per chi giunge alla Presa Alta in auto).

ATTENZIONE! Il sentiero n. 633 “Decauville” che si imbocca dopo Tarlanda è attualmente chiuso per lavori di ripristino e messa in sicurezza.

Visita la gallery fotografica della ferrovia di Ligonchio

Biblbiografia

La ferrovia “Decauville” Quara – Gova – Novellano – Val d’Asta (Romolo Fioroni, Reggio Storia nuova serie n. 61, 1993)

La montagna reggiana, personaggi, toponimi, tradizioni, immagini (Athos Nobili, 2000)

Ferrovie decauville (F. Reuleaux, “Le grandi scoperte” vol. II, 1887)

FEBBIO. Rescadore, Alpe di Cusna o Febbio 2000 ma sempre FEBBIO (Gianpaolo Gebennini, 2014)

Le centrali idroelettriche della Val d’Ozola (Ing. Stefano Tosato, 2009)

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