Siamo negli anni ’60, quando ancora tutti i paesini sparsi erano raggiungibili solo da mulattiere: un signore, che doveva raggiungere una di queste borgate isolate, si fermò vicino ad una siepe viva di un orticello perché aveva sentito parlare…aprì un poco i rami e, non visto, assistette ad una gustosa scenetta e ascoltò un buffo soliloquio
Nell’orticello c’era un vecchietto con un vecchio secchio infilato nel braccio, il secchio è pieno di “gallinella”, sterco delle galline, ottimo concime per gli ortaggi e per le sementi, come il guano. Ai suoi piedi trotterellava un bel gattone bianco e nero che seguiva sempre il padrone, come un cagnolino. Il vecchietto con la mano libera spargeva il concime e ogni tanto con due dita si stringeva il naso che prudeva per il concime che l’aria gli ribatteva in viso facendolo somigliare a quello di un clown del circo; mentre faceva ciò si sfogò con la bestiola raccontando ciò che ha nel cuore nel simpatico dialetto della nostra montagna: “bel e me gat st’sais cusa e custa un pez ad pan: tra l’araria, la rebgaria, la semnaria, la medria, la batria, la valaria, la masnaria, la sdaciaria, la masnaria la porta via la mulenda, la vuladga e la tuladga(*). Alura t’ma capis bel e me gat par mi e ti a garmagn poc de magnar…quanda a pens che a mitima da parta anch la smenta par l’an ch’ven”.
(bello il mio gatto se sapessi cosa costa un pezzo di pane, fra l’aratura, l’erpicatura, la semina, la mietitura, la trebbiatura, la pulitura al vento, la macinatura, la setacciatura, allora mi capisci bene bello il mio gatto che per me e per te rimane poco da mangiare, quando penso che mettiamo via anche il seme per l’anno prossimo). Il signore non dimenticò ciò che aveva visto e udito e lo raccontò agli amici, rammaricandosi di non possedere una macchina fotografica per immortalare l’ignaro clown e il suo gatto a coda dritta.
(*) Il mugnaio come paga prendeva una percentuale di farina che poi allungava con ciò che volava e gli scappava rubato.
Quel signore, spettatore di un tal colloquio, comprese però, che la vita in quei luoghi era davvero dura, si sudava tanto, si facevano tante fatiche per avere il minimo per la sopravvivenza e solo l’amore per la propria terra e le proprie origini rendevano questa gente “speciale”.