Il castagno (e le castagne)
Casca in gran copia e tutte l’erbe impruna
di bei cardi spinosi, il frutto buono
che sfamerà i figlioli del colono
se, pel suo desco, non dan pane i campi.
(da I castagni, G. Marradi)
Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell’Europa meridionale, in quanto questa specie è stata largamente coltivata, fino ad estenderne l’areale, per la produzione del legname e del frutto, la castagna. Quest’ultima, in passato, ha rappresentato un’importante risorsa alimentare per le popolazioni montane e d’alta collina in quanto era utilizzata soprattutto per la produzione di farina di castagne. La coltura da frutto è oggi limitata alle cultivar di particolare pregio e anche la produzione del legname da opera si è marcatamente ridotta. Del tutto marginale, infine, è l’utilizzo delle castagne per la produzione della farina, che ha un impiego secondario nell’industria dolciaria.
Il castagno europeo (Castanea sativa Mill.,1768), è una pianta arborea appartenente alla famiglia delle Fagaceae; ha chioma espansa e rotondeggiante ed altezza variabile dai 10 ai 30 metri, con foglie oblunghe a margini seghettati e caduche. I castagni sono alberi molto longevi e possono diventare addirittura plurimillenari.
Il castagno è una specie che ben si adatta ad un clima fresco ed è moderatamente esigente in umidità. Sopporta abbastanza bene i freddi invernali, subendo danni solo a temperature inferiori a -25 °C, ma diventa esigente durante la stagione vegetativa. Per questo motivo il castagno ha una ripresa vegetativa tardiva, con schiusura delle gemme in tarda primavera e fioritura all’inizio dell’estate. Al fine di completare il ciclo di fruttificazione, la buona stagione deve durare quasi 4 mesi, condizioni che si verificano nel piano montano (600–1300 m) delle regioni mediterranee o in alta collina più a nord.
In maggio, dopo l’emissione delle foglie, compaiono i fiori, riuniti in amenti, cioè pendule infiorescenze a spiga con asse flessibile al vento. Gli amenti sono maschili, con fiori simili a fiocchi gialli, oppure ermafroditi, con fiori maschili all’apice e piccoli fiori femminili verdi alla base.
Inizialmente, il polline è ricoperto di mastice vischioso perché zuccherino: le api ne ricavano il pregiato miele di castagno. Dopo qualche giorno, il polline si asciuga per venire disperso dal vento.
Le castagne non sono tutte uguali: solo in Italia si contano più di 300 varietà diverse, tra cui anche i marroni. In questo caso la castagna è ovale anziché schiacciata di lato, perché è sempre unica nel riccio. Le varietà di marroni più pregiate si coltivano nel torinese, nel cuneese e in Romagna.
Il frutto, utilizzato da tempi antichissimi per la produzione di farina di castagne ha oggi un’importanza marginale e circoscritta alla produzione di dolci tipici, come il castagnaccio. Ancora diffusa è invece la destinazione dei frutti di buon pregio al consumo diretto, concentrato nei mesi autunnali, e alla produzione industriale di confetture e marron glacé.
Ancora oggi, in mezzo ai nostri castagneti, si ritrovano i resti dei metati, vecchi manufatti che servivano all’essiccazione delle castagne per poi trasformarle in farina: ormai abbandonati e fatiscenti riportano alla memoria gli antichi lavori, che scandivano i tempi delle stagioni, e la fatica che quelle generazioni sopportavano al solo scopo di nutrirsi e superare i duri inverni.
I frutti hanno un involucro esterno, il riccio (o cupula), verde e spinoso, che contiene da uno a tre castagne (o acheni). La buccia dell’achenio è rigida e cuoiosa, color bruno lucente, con un ciuffetto apicale di “peli” dato dal residuo degli stili disseccati, che componevano il fiore femminile. All’interno della buccia c’è il seme, minuscolo, attorniato da due cotiledoni bianchi, magazzino di cibo per la pianticina al momento di germinare: sono proprio quelli che noi mangiamo!
La presenza del castagno fin dall’antichità ha fatto sì che alcuni esemplari, ancora oggi esistenti, abbiano un particolare valore storico, culturale, paesaggistico e, come tali, sono definiti alberi monumentali ed hanno anche un nome proprio. Ecco alcuni esempi:
- Lo Tsahagnèr de Derby, è l’unico castagno monumentale della Valle d’Aosta ed è l’unico castagno da frutto, in Italia, di dimensioni eccezionali. Ha una circonferenza di 7,63 metri e un’altezza di 27 metri e un’età di circa 400 anni.
- Tabudiera grossao Tabudiera de Titta, in Piemonte, ha una circonferenza di 9,6 m e un’altezza di 30–32 m. L’età presunta è di circa 300 anni.
- Bioglio, sempre in Piemonte, ha una circonferenza di 10,5 m e un’altezza di 15–18 m. L’età stimata è di 350 anni.
- Monteu Roero (Piemonte), Ha una circonferenza di 10,5 m a petto d’uomo, di 14 m alla base, un’altezza di 12 m. L’età stimata è di 350 anni.
- In Sicilia il Castagno dei Cento Cavalli è considerato il più famoso d’Italia e uno dei più vecchi alberi d’Europa. Ad esso sono associate leggende e note storiche e ha dato ispirazione ad artisti e letterati. L’albero, ubicato alle falde dell’Etna, ha una circonferenza di 22 metri e un’altezza di 22 metri. L’età è incerta e secondo varie fonti è stimata dai 2000 ai 4000 anni.
- Ancora in Sicilia il Castagno della Nave ha un’età incerta ma presumibilmente millenaria. Ubicato a circa 300 metri dal Castagno dei Cento Cavalli ha una circonferenza di 20 m e un’altezza di 19 m.
- Tonara (Sardegna), ubicato a circa 800 m slm, è uno degli esemplari più notevoli della regione, con una circonferenza di 8,5 m e un’altezza di 15 m.
- In Toscana il Castagno Miraglia ha un’età presunta di 400 anni, una circonferenza alla base di 8,8 m e un’altezza di 19 m.
- Il Piantone di Nardò, in Abruzzo, ha una circonferenza basale di oltre diciassette metri ed un’età presunta di oltre cinquecento anni.
Le castagne in alcune zone d’Italia erano dette anche “pane d’albero”: in un passato neanche troppo remoto le castagne erano infatti una risorsa fondamentale, per portare qualcosa di sostanzioso sulla tavola dei contadini e di molte popolazioni di collina. Ricche di carboidrati complessi (amido) e zuccheri, fibre, potassio e vitamine del gruppo B, si consumavano bollite o arrosto, essiccate e intinte nel latte a colazione, o macinate per fare la farina o la polenta. Ancora oggi si usano per ricette tradizionali soprattutto dolci.
I necci e la cottura nei “testi”
I necci sono delle focaccine sottili tipiche della Garfagnana e della Montagna Pistoiese, una sorta di crepes realizzate solo con farina di castagne, acqua e sale che, una volta, venivano servite così com’erano, oppure riempite con salsiccia o con ricotta. I necci erano il dolce tipico della tradizione contadina e di montagna, una merenda semplice e saporita. La caratteristica dei necci sta però nel modo in cui venivano preparati: una volta pronta la pastella, le frittelle venivano cotte su fuoco vivace all’interno di due padelline in ghisa piatte, con un lungo manico, i “testi”, tra i quali veniva stesa la pastella. I testi venivano scaldati sul fuoco e unti con un pezzo di strutto, mentre oggi si utilizza solitamente un buon olio d’oliva. Una volta pronti, i necci venivano impilati e separati da foglie di castagno, per poi essere gustati così com’erano o farciti. Oggi si utilizza più semplicemente una padellina antiaderente per la cottura dei necci.
I necci con la ricotta: lavorate la ricotta con lo zucchero e tenetela da parte. In una ciotola mettete la farina di castagne setacciata e aggiungete un pizzico di sale. Unite l’acqua a filo e mescolate di continuo con una frusta, così da evitare la formazione di grumi, fino a realizzare una pastella lisca e omogenea. Ungete la padellina antiaderente con un filo d’olio, aiutandovi magari con un tovagliolino di carta, versate un mestolino di impasto al centro e distribuitelo inclinando la padella. Lasciate cuocere a fuoco medio, fino a quando non si formeranno le bollicine in superficie e la frittella non comincerà a staccarsi. Capovolgetela aiutandovi con una spatola e lasciate cuocere anche dall’altra parte. Man mano che saranno pronti, sistemate i necci su un piatto. Spalmate la ricotta sui necci, arrotolateli e servite.
Il castagnaccio
È un dolce autunnale tipico della Toscana: una torta semplice e povera a base di farina di castagne, uvetta, pinoli e rosmarino, dal sapore rustico, poco dolce e una consistenza morbida, umida, quasi tenera al centro. Una preparazione deliziosa, che ha origini contadine nel 1500, quando con pochi ingredienti veniva fuori un piatto energetico e gustoso anche per il giorno successivo! Ben presto si diffuse in tutta la zona appenninica del centro Italia, assumendo nomi diversi (Baldino, Pattona), per poi giungere nell’ 800 anche nelle regioni del settentrione dove fu arricchito con uvetta e pinoli.
Quantità per una teglia da 24 – 26 alta 3,5 cm
- 500 gr di farina di castagne di ottima qualità
- 500/ 550 gr di acqua
- 120 gr di uvetta sultanina
- 100 gr di pinoli
- 1 rametto di rosmarino
- un pizzico di sale e un filo d’olio extravergine
Prima di tutto ponete ammollo in acqua l’uvetta per circa 5 minuti.
Nel frattempo, in una ciotola aggiungete la farina di castagne e il sale, aggiungete l’acqua a poco a poco, mescolando con una frusta a mano. La proporzione dell’impasto castagnaccio perfetto è pari quantità acqua e metà farina, è possibile che la farina possa assorbire molto liquido; solo in questo caso, aggiungete 50 gr di acqua.
L’impasto finale deve essere morbido, vellutato, cadere a nastro! non troppo liquido!
Aggiungete nell’impasto: la maggior parte dei pinoli tenendone da parte 1 cucchiaio, la maggior parte dell’uvetta tenendone da parte 1 cucchiaio. Girate e amalgamate.
Versate infine l’impasto in una teglia oleato con un filo d’olio extravergine. Aggiungete in superficie i pinoli e l’uvetta messa da parte e gli aghi di rosmarino sgranati.
Per ottenere un castagnaccio morbido e dal cuore tenero quindi non secco e legato è fondamentale non cuocere troppo! Cuocete in forno statico a 180° nella parte media per circa 25 – 30 minuti.
Dopo 25 minuti, controllate con uno stecchino di legno, prolungate la cottura solo se non è rassodato l’impasto. Il risultato finale perfetto si ha quando lo stecchino affonda in una torta compatta, ma morbida e leggermente umida. Mentre la superficie deve risultare chiara, appena crepata e non bruciata.
Sfornate e lasciate raffreddare in teglia e gustate completamente freddo.