Da Monteorsaro scendendo giù lungo la costa del mandriolo, in mezzo a pezzi di verde, circondati da muri di sasso, sui quali si ergono grandi ciliegi, lasciando a dritta Febbio, si entra in Case Stantini. Paese anche questo che come altri non è stato risparmiato dagli elementi.
In mezzo a due fossi, Rio Grande e Rio Taglione, vede spesso da ogni lato le frane che gli tolgono qualche metro di terra.
Si allontanarono i primi abitanti dall’alpe forse perchè forse perchè sarà interessato il terreno volto a mezzodì e abbastanza fertile. Forse il nome deriva dal latino “Stantes” coloro che restano.
Nel 1600 Case Stantini aveva 112 persone divise in 20 famiglie e poco più di dieci riconosciuti soldati. Si dice che la maggioranza del bestiame in questo borgo fossero capre; non poteva poi essere diversamente data la conformazione del suolo. Solo le capre potevano difendersi e sopravvivere fuori dei campi (senz’altro a regola d’arte rinchiusi), lungo i torrenti e sotto la grande Grotta di Urano.
Raccontano in proposito i vecchi che questi branchi, spinti in inverno sotto la grotta in cerca di germogli e ciuffi d’erba, nel loro salire e scendere cominciarono a crear seniteri lungo la riva. Sali e sali, arrivarono fino a Urano facendo così per molti anni usò anche l’uomo.
Quando ancor oggi si vuol dire un sentiero nel precipizio si dice “un sentiero da capre”. Chi poi non aveva abbastanza terra da vivere andava lontano in cerca di lavoro. Anche questo borgo ha avuto i picchiapietre, falegnami e fabbri, e qualcuno con questa polivalenza è giunto fino a noi.
Tratto dal testo “Alla scoperta di una valle, Val d’Asta”
di Giglio Fioroni e Olimpia Fioravanti