Camminavo alla fine di una estate verso l’Ortigara con Mario Rigoni Stern. Dal sentiero mi indicò un peccio stracarico dei suoi frutti, coni o strobili, non importa il nome. “Vedi, Bepi? sta morendo e vuole mostrare superbamente e pateticamente tutta la sua forza, la sua bellezza. Questa è la struggente poesia dell’addio”.
Il mondo corale italiano non è mai stato così generoso di complessi polivocali come in questi ultimi anni: gruppi dai nomi spiritosi, inattesi o provocatori, ragazze e ragazzi bravissimi, bellissimi, che sanno leggere la musica. Si propongono incontrandosi negli “scambi” e coltivano un pubblico formato sopratutto da cantori di altri cori o da musicisti invitati.
Il pubblico tradizionale che noi dei cori maschili abbiamo goduto per anni e anni non c’è quasi più. E sono mutati di molto i repertori che percorrono le lingue del mondo, sopratutto l’inglese, con un vago ritorno al latino per un linguaggio musicale, melodico e armonico, che richiama le audaci sperimentazioni dei futuristi di cento anni orsono.
La Chiesa, dopo il Concilio che ha cancellato il Gregoriano, la Polifonia, ma anche il dolce cantare devozionale, naviga nel mare del Nulla dando spazio preferibilmente “alle canzonette e alle canzonacce” con testi ridicoli. Nelle messe televisive della domenica, quando comincia il canto e il suono, ecco l’immancabile voce che vagheggia su argomenti vari, coprendo, annullando l’ascolto delle musiche, belle o brutte che siano, preparate con tanta cura, con il sincero desiderio di comunicare la fede, ma anche di mostrarsi a milioni di telespettatori.
E gli Alpini? Nelle Adunate c’è troppo chiasso. Da tanti anni il mio sogno è che si possa sfilare cantando, magari anche il Trentatré con quel testo raffazzonato. Invece imperversano i tamburi a segnare il passo dei generosi.
Il nostro cantare è nato a Trento negli Anni Venti, da Pigarelli con i Pedrotti che hanno fatto tesoro delle indicazioni armoniche del musicista Vittorio Gui ispirato dallo scrittore e poeta Piero Jahier: stavano insieme, ufficialetti di compleanno a guerra finita, proprio a Trento. Sono passati cento anni! Qualcuno vorrebbe proporre i “Canti di trincea”, di quell’Inutile Massacro: canti che sono invenzioni a posteriori, rifacimenti, adattamenti, parodie su canti popolari di lavoro o regionali. Ma come si può pensare che nel terrore della trincea si cantasse!
Il nostro raccontare con voci maschili deve ritrovare il vigore della credibilità con la poesia, con presentazioni commosse e felici, coinvolgenti.
Anche se intorno c’è il bosco di pecci stracarichi di frutti.
Contributo pubblicato ne' L'Alpino, edizione di dicembre 2015 a pagina 11